Un giorno come tutti e nell'ora di letteratura italiana, abbiamo avuto il piacevole incontro con l'ispettore Eugenio Cantanna.Inizialmente ci ha un pò spiegato come fare ad entrare nella scuola di polizia e ci ha raccontato alcune sue esperienze.Ci ha detto di essere stato in Calabria e che quell'esperienza l'ha segnato molto. Dopo abbiamo fatto alcune domande tra cui:<Come e quando ha deciso di entrare nella polizia di stato?>- E lui ci ha che è nato in una famiglia dove vedere l'uniforme di polizia era quotidiano e ha voluto continuare il mestiere di 'famiglia'!
<L'hanno mai minacciata?>- Bè a questa domanda ci ha risposto di si e dicendo anche che non aveva avuto mai paura ne per lui e ne per la sua famiglia poichè sapeva esattamente cosa fare e come difendersi.
Questo incontro è stato davvero emozionante e ci ha fatto un po capire come funziona la polizia di stato e come si fa ad entrarci.
Allieve agenti Anna,Antonella,Fabiola,Marika,Rosy
Siamo 5 ragazze del Liceo scientifico Ludovico Pepe...abbiamo deciso di partecipare a questo concorso perchè ci piaceva l'idea
venerdì 8 aprile 2011
domenica 3 aprile 2011
giovedì 31 marzo 2011
PROBLEMA IMMIGRAZIONE...
L’immigrazione è un fenomeno enorme e complesso, capace di cambiare il volto di una società. Se in meglio o in peggio, sta a noi deciderlo. Il “fenomeno” immigrazione, infatti, presenta notevoli implicazioni economiche, sociali, culturali, di ordine pubblico. Presenta sia problemi sia benefici, che non sono un dato fisso e inevitabile, ma il risultato della nostra capacità di gestirlo.
Ogni discussione su questo tema, però, non può essere una fredda comparazione di costi e benefici. Non bisogna mai dimenticare che il “fenomeno” immigrazione è fatto dagli... immigrati: uomini in carne ed ossa, con le loro storie, le loro speranze, le loro paure e debolezze, i loro diritti (e i loro doveri), la loro creatività, la voglia di rendersi utili (o di approfittare delle situazioni), i loro vincoli familiari.
La dimensione dell’immigrato-uomo spesso è trascurata anche da coloro che vedono nell’immigrazione solo una risorsa, e che si vorrebbero porre come paladini degli immigrati. Ma vedremo che proprio la dimensione di umanità può essere calpestata e offesa, se l’immigrazione è incoraggiata senza nessuna gestione o controllo.
1. Problemi e benefici connessi all’immigrazione.
Esistono numerosi problemi che possono derivare da un’immigrazione eccessiva e non regolamentata, e che possono recar danno alla società, ma anche ferire la dignità stessa degli immigrati (come degli Italiani più deboli):
Inoltre, non bisogna dimenticare i nostri doveri di solidarietà, né i benefici e le risorse che pure vengono dall’immigrazione:
2. I criterî fondamentali per “gestire” l’immigrazione.
Come dosare problemi e risorse? In che cosa consiste la “gestione”, la “regolamentazione” del fenomeno migratorio?
I criterî fondamentali sono a nostro avviso due:
2.1. Programmazione dei flussi.
L’immigrazione non è un “diritto” in sé. Ricordiamo che ad ogni diritto corrisponde un dovere, e che l’adempimento di questo dovere dev’essere possibile. (Ad esempio, possiamo dire che un figlio ha diritto alla migliore istruzione possibile; non che possa pretendere - da genitori che non ne hanno la possibilità – la frequenza di master all’estero).
Ciò nondimeno, esiste un dovere morale, di solidarietà umana, ad aiutare ed accogliere le persone in condizione di bisogno. Questo dovere deve essere esercitato, appunto, nei limiti in cui sia realisticamente possibile, nei limiti in cui l’accoglienza offerta sia dignitosa (non si può dire: “vieni e arrangiati”), nei limiti in cui consenta il rispetto del bene comune della società ospitante.
Possiamo e dobbiamo, dunque, accogliere gli immigrati – e le loro famiglie - ai quali siamo in grado di offrire un lavoro. Programmando il numero di coloro che possiamo accogliere, e assicurando il rispetto di questa programmazione (se necessario, con respingimenti alle frontiere e rimpatrî obbligati).
Inoltre, possiamo accogliere gli immigrati che abbiano effettivamente il desiderio di contribuire al bene comune della società che li ospita. Per chi delinque, non si può considerare un dovere di solidarietà garantire l’ “ospitalità” nelle nostre prigioni...
2.2. Integrazione degli immigrati.
Gli immigrati - a parte quelli temporanei (stagionali, per motivi di studio) - sono in larga parte persone che entrano in nuovo Paese per costruirsi una nuova vita, stabilirvisi a lungo, in molti casi per sempre. Ebbene, è necessario che questo inserimento avvenga senza conflitti con la società che li ospita, costruendo una graduale reciprocità di diritti e doveri.
Un immigrato, dunque, deve rispettare innanzi tutto le leggi del Paese che lo ospita. Non possono esserci zone franche, quartieri di immigrati, dove queste leggi (con particolare riguardo ai diritti fondamentali delle persone: diritti delle donne, dei bambini) non sono rispettate.
Rispettando tali leggi, l’immigrato potrà esigere il rispetto dei diritti umani e di libertà (personale, di inviolabilità del domicilio, di espressione, di religione, di tutela giudiziaria, di istruzione per i minori) che la Costituzione riconosce a chiunque soggiorni nel nostro territorio; nonché il rispetto dei diritti connessi alla propria prestazione lavorativa e dei diritti di prestazione economica connessi alle tasse versate.
A questo primo livello di integrazione – la capacità di rispettare regole comuni – ne dovrà seguire uno ulteriore: la cittadinanza. Si tratta dello status cui sono connessi i diritti civili e politici, cioè i diritti che la Costituzione riserva ai cives, ai cittadini: la pienezza del diritto a circolare e soggiornare in ogni parte del territorio e del diritto di associazione; la possibilità di ottenere politiche di sostegno sociale allargate; la possibilità di determinare (con il voto) gli indirizzi e le regole della comunità.
La necessità di graduare il godimento di tali diritti – e di pretendere il rispetto di corrispettivi doveri – deriva dal fatto che una comunità non si regge solo sulle leggi economiche, su logiche di scambio. Una comunità ha regole di convivenza sociale che sono l’espressione di valori comuni. Una comunità ha bisogno di legami di solidarietà che non possono essere imposti, ma si attivano se c’è reciproco riconoscimento tra i membri della comunità stessa.
Non si è più immigrati, ma cittadini a pieno titolo, dunque, dopo aver appreso la lingua di un Paese, dopo avervi vissuto un numero di anni sufficiente a comprenderne la mentalità e la cultura, e a condizione di condividere i valori fondamentali espressi dalla Carta costituzionale di quel Paese. Dopo che si è raggiunto, insomma, un pieno livello di integrazione. Convinzione che sembra maturare nella sinistra italiana (vedi le posizioni di Barbara Pollastrini).
I criterî che abbiamo delineato per la gestione dell’immigrazione potrebbero sembrare troppo rigidi o apodittici. Per approfondirli meglio, e comprenderne l’importanza, possiamo esaminare i luoghi comuni, i pregiudizî, le esigenze economiche, le ideologie politiche che animano il dibattito sulla materia, soprattutto da parte di coloro che – da fronti opposti - sono contrarî ad una gestione del fenomeno: o perché pensano che l’immigrazione debba essere assolutamente libera; o perché pensano che vada semplicemente impedita.
3. Quelli che dicono “l’immigrazione è una risorsa”.
Ma chi sono coloro che incoraggiano un’immigrazione intensa, con maglie larghe (o addirittura senza controlli)? Quali argomenti propongono?
3.1. La domanda di manodopera delle imprese.
Tra i fautori di un’immigrazione intensa ci sono molti imprenditori, che richiedono manodopera per i lavori “che gli Italiani non vogliono più fare”. Ma è davvero così?
Ci sono, effettivamente, alcuni lavori che negli ultimi anni, con la diffusione del benessere, gli Italiani amano sempre meno. Si tratta soprattutto delle attività considerate più “umili”, che richiedono grande fatica, che comportano rischi: badanti, operai non specializzati, braccianti agricoli.
La realtà non è però così semplice. Non è che in Italia si studi più che in passato: la percentuale di laureati è stabile, nonostante il percorso di studi sia spesso più facile e siano state create numerose opportunità di formazione specialistica “breve”. Molti Italiani cercano lavoro senza avere grande professionalità. Davvero sono tutti presuntuosi e sfaticati, davvero pretendono tutti un lavoro “dietro la scrivania”?
O non sarà che, spesso, certi lavori gli Italiani non li vogliono fare perché quei lavori sono mal pagati, perché non si è tutelati dai rischi mediante adeguate misure di sicurezza?
“Ma il costo della manodopera non può salire troppo, altrimenti le imprese non sono più competitive”. Anche qui, c’è parecchia ipocrisia.
Quanto incide la manodopera nel manifatturiero, uno dei settori più proiettati all’esportazione (e quindi con l’esigenza della competitività)? Il 20-30% del prezzo finale. Il resto è ripartito tra profitti, ricerca, costi per macchinari e processi di trasformazione, costi energetici, pubblicità e – soprattutto – costi di distribuzione (trasporti e margini di guadagno di grossisti e rivenditori finali). Nell’agricoltura il prezzo al dettaglio spesso supera di dieci volte quello alla produzione!
La competitività non la possiamo costruire limando i salari (che, in ogni caso, resterebbero superiori a quelli dei Paesi meno sviluppati) o risparmiando sulla sicurezza. La competitività la dobbiamo costruire sull’innovazione, la qualità, la riduzione della pressione fiscale, il supporto di strutture e amministrazioni efficienti. Tant’è che abbiamo salari tra i più bassi (anche per colpa della tassazione) dei Paesi OCSE, eppure non siamo altrettanto competitivi!
Lavori sottopagati e insicuri: è una situazione che ferisce la dignità degli immigrati e danneggia una parte di cittadini italiani, quelli delle fasce sociali più deboli, che sarebbero disposti a lavorare a condizioni migliori.
Peraltro, i lavori sottopagati rallentano l'innovazione, perché i bassi salarî rendono conveniente mantenere in vita anche lavori destinati a scomparire.
Aggiungiamo un’altra osservazione: gli immigrati non vengono a svolgere solo i lavori più umili, ma anche – col passare del tempo – lavori qualificati. Lavori appetiti, naturalmente, da un numero ancora maggiore di Italiani: operai non solo generici, ma specializzati; artigiani; commercianti; tassisti (magari alle dipendenze di società e cooperative); ecc. Prossimamente: ingegneri, matematici, chimici. Il che è giusto e inevitabile: non si può immaginare che l’immigrato sia confinato in una condizione di serie B.
Ma il problema è: c’è bisogno di questa manodopera? In che quantità? O si vuole creare una competizione che abbassi oltremisura il potere contrattuale dei lavoratori? Si vuole creare quello che Marx definiva “esercito industriale di riserva”? Certo, Marx sbagliava a considerare una condizione necessaria del capitalismo quella che era una condizione occasionale del mercato del lavoro (eccesso di offerta), di cui magari poteva approfittare la miopia di qualche capitalista senza scrupoli. L’economia di mercato, invece, è aiutata da salari alti, che creano domanda di consumo e stimolano l’economia. Però non dobbiamo fingere di non vedere che la miopia di qualche capitalista-imprenditore può ripresentarsi...
3.2. L'illusione di usare gli immigrati per pagare le pensioni.
Le riforme pensionistiche sin qui approvate non sono sufficienti a sanare lo squilibrio dei conti pensionistici, dovuto al fatto che le pensioni sin qui erogate sono molto più elevate dei contributi versati da quei lavoratori. Il "trucco" di pagare le pensioni con i contributi dei lavoratori ancora in attività non funziona più, a causa del calo demografico. I giovani che già sono entrati nel sistema a “capitalizzazione” dovranno versare ancora a lungo, oltre ai contributi per la propria pensione, i soldi per pagare le pensioni già erogate, ed anche per sostenere i servizi sociali (assistenza, sanità) necessarî ad una popolazione sempre più anziana.
E' illusorio pensare che il problema si possa risolvere favorendo l'immigrazione, per pagare le pensioni con i contributi dei lavoratori immigrati.
Innanzitutto, molti immigrati lavorano in nero, e quelli in regola esercitano attività scarsamente remunerative, versando di conseguenza contributi esigui; si porrà anzi il problema del loro trattamento pensionistico. Quand’anche si arrivasse ad una generazione di giovani lavoratori immigrati che abbia acquisito un importante peso politico e sociale, non è da trascurare il fatto che essi, probabilmente, si lamenteranno di essere “sfruttati” se si chiederà loro di “mantenere” gli italiani anziani.
La gravità del fenomeno può essere attenuata solo, in prospettiva, da una veloce ripresa demografica.
3.3. Gli immigrati strumentalizzati dalla sinistra estrema.
Marx era convinto che il capitalismo si reggesse solo sullo sfruttamento, per cui il suo collasso doveva essere inevitabile. La storia lo ha smentito.
Eppure non manca qualche comunista nostalgico che resta abbagliato da queste idee. Qualcuno convinto che “bisogna far esplodere le contraddizioni interne del capitalismo”, attirando masse di immigrati in numero tale che non possano essere assorbiti senza aspri conflitti sociali, e che si arrivi ad una “crisi di sistema”. Insomma: se il capitalismo non cade da solo... diamogli una mano!
Inoltre, questi nuovi immigrati in condizioni di disagio dovrebbero divenire un bacino elettorale per partiti che conoscono un inesorabile declino storico.
Qualcuno potrà essere abbagliato dalle argomentazioni ‘ufficiali’ di comunisti, “antagonisti”, “no global”: si parla di sviluppo globale, società più giusta, multiculturalità, ecc. Ma il loro vero pensiero può essere compreso se si seguono con attenzione le loro analisi e i loro comportamenti.
In questa sede possiamo ribadire solo, in estrema sintesi, che lo sfruttamento – interno e internazionale - è un abuso che può esistere ed esiste, ma non è la condizione stessa dell’economia di mercato. Lo sviluppo delle economie libere ha portato alla crescita e alla diffusione del benessere; il sottosviluppo che permane in alcuni Paesi poveri, causa dei fenomeni migratori, non dipende dalla ricchezza dei Paesi ricchi, come abbiamo spiegato meglio nella recensione del libro Poveri, perché?In aggiunta, vogliamo solo sottolineare il cinismo – tipico di quanti sono accecati da un’ideologia – che non guarda agli immigrati come persone, ma come “masse di manovra rivoluzionaria”; un cinismo che non si fa scrupolo di soffiare sul fuoco dello scontro tra le fasce sociali più deboli.
3.4. I sensi di colpa degli idealisti utopici.
Esistono alcuni convinti davvero che sia possibile accogliere tutti condividendo il nostro benessere. E che da questo incontro verranno spontaneamente progresso, crescita culturale, pace, ecc. A questa convinzione si aggiunge un certo senso di colpa – derivante anche dai luoghi comuni ereditati dal comunismo -, secondo cui i Paesi ricchi avrebbero la responsabilità della povertà nel mondo.
Ebbene, la speranza e la voglia di migliorare le cose sono una virtù. L’utopia e la mancanza di senso della realtà sono, invece, pericolosissime.
Accogliere milioni – miliardi? – di persone, in maniera rapida e incontrollata, non significa condividere la nostra ricchezza, ma la loro povertà. Strapparle alle loro terre, alle loro culture, significa far loro violenza, non essere solidali. Significa compromettere le possibilità di sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo, privati delle risorse umane più qualificate e volenterose.
Se davvero vogliamo esercitare la solidarietà, dobbiamo investire – molto di più di quanto fatto sinora – in interventi efficaci per lo sviluppo dei Paesi poveri.
3.5. I “multiculturalisti”.
Esiste non solo la necessità di regolare il numero degli immigrati, ma anche quella di creare le premesse per la loro integrazione.
3.7. I moralisti: “discutere l’immigrazione alimenta il razzismo”.
I moralisti sono coloro che amano salire su un pulpito e dare bacchettate, piuttosto che analizzare una questione. Se poi si sposano con gli apostoli del “politicamente corretto”, che hanno già in tasca la lista delle idee ammesse nel dibattito pubblico, e di quelle respinte perché “intolleranti”, allora il cocktail è micidiale...
Se c’è il rischio razzista che tutti gli stranieri, o tutti gli appartenenti a diverse etnie, vengano considerati pericolosi, questo rischio non lo si elimina imponendo la finzione che siano tutti angelici e migliori degli altri, in una sorta di “razzismo” rovesciato.
Se c’è il rischio di trascurare l’importanza del lavoro degli immigrati onesti, non bisogna rinunciare ad affrontare i problemi sociali ed economici che l’immigrazione comporta.
Se razzismo significa generalizzare, il suo contrario è distinguere, analizzare un fenomeno, porsi domande, cercare risposte.
Ancora una volta: l’immigrato onesto è danneggiato quando non si affrontano i problemi, oppure quando viene confuso con il criminale immigrato .Questa confusione viene incoraggiata anche quando ci si limita ai proclami contro la criminalità, o si finge di prendere provvedimenti che poi non vengono assunti: atteggiamenti tipici dei moralisti, che ai fatti preferiscono le parole.
3.8. I fatalisti: “l’immigrazione non si può fermare”.
Non parlano apertamente di immigrazione come risorsa, ma alla fine la incoraggiano ugualmente, quanti sostengono che si tratta di un “fenomeno epocale e inarrestabile”, che “è inutile alzare barriere”, che “l’Occidente non può rinchiudersi in una fortezza”, che “l’emigrazione è un fenomeno esistito in ogni epoca”, ecc. Frasi suggestive, che però non dicono granché. Esprimono una resa, scrollano le spalle di fronte ai drammi umani che i fenomeni migratori incontrollati portano con sé.
Il problema non è di fermare la storia o bloccare i fenomeni migratori. Il problema è di trovare il modo di gestirli: nessun Paese ha mai accettato un’immigrazione indiscriminata. Gli Stati Uniti d’America sono un Paese sorto proprio con le immigrazioni; qualcuno ricorda Ellis Island, l’isolotto alla foce del fiume Hudson dove gli immigrati venivano visitati, controllati, “filtrati” anche in base al rispetto delle quote stabilite?
Le modalità con le quali devono essere programmati i flussi (numero massimo per anno, per tipologia professionale, per Paese di provenienza) possono essere diverse. L’importante è che questa programmazione sia applicata rigorosamente, respingendo alle frontiere o riaccompagnando al Paese di provenienza chi non ha titolo e possibilità di essere accolto.
Ciò significa insensibilità verso i disperati? No, perché i flussi migratori non sono quasi mai alimentati spontaneamente da disperati, ma incanalati dalla criminalità organizzata. Si viene in Italia con ogni mezzo, perché si sa di non essere respinti. Ed anche quelli che partono con intenzioni poco oneste, scelgono il Paese considerato più “indulgente”. Quando invece si sa che l’immigrazione clandestina non offre prospettive, si scelgono altre vie.
La superficialità delle argomentazioni che fanno appello all’inevitabilità del fenomeno migratorio, del resto, deriva dal fatto che si tratta della via di fuga di chi resta a corto di argomenti nel magnificare le virtù di un’immigrazione senza controlli.
4. Quelli che dicono “l’immigrazione è un problema”.
Sino ad oggi hanno prevalso le tesi di quanti sono favorevoli a flussi immigratori consistenti, o comunque non ritengono di dover gestire il fenomeno. Ed abbiamo quindi accennato ai problemi che questa mancata gestione può comportare, e che stanno cominciando ad esplodere.
Ma è altrettanto parziale e fuorviante la visione di chi considera l’immigrazione solo un problema, una visione che sembra iniziare a farsi largo.
4.1. Gli stranieri tolgono lavoro agli Italiani?
Questa risposta può avere una risposta affermativa nei termini in cui ne abbiamo parlato all’inizio, cioè in caso di immigrazione incontrollata.
Ma la preoccupazione per il lavoro degli Italiani non può tradursi nella pretesa di una chiusura assoluta delle frontiere. L’esigenza di nuova manodopera, in quantità consistenti, non può essere ignorata.
Aggiungiamo che non serve solo “manodopera”, ma anche lavoro qualificato: nuove idee, nuovi cervelli, nuovi entusiasmi fanno crescere un Paese.
Anche una certa dose di concorrenza può stimolare gli Italiani a non sedersi sugli allori del “posto sicuro”, e a curare dunque la propria formazione e la propria crescita professionale. L’importante è che si tratti di una concorrenza di proporzioni complessivamente assorbibili dal mercato del lavoro.
4.2. Gli stranieri prosciugano le risorse di protezione sociale.
L’assistenza sociale agli stranieri che lavorano e pagano le tasse, e ai loro congiunti, non può essere negata. Non dimentichiamo che molti pensionati italiani vedono pagata la loro pensione con i contributi versati da lavoratori stranieri.
Altra cosa è consentire ricongiungimenti familiari estesi (genitori, fratelli, parenti), e garantire prestazioni assistenziali ad una categoria di beneficiari indefinita. Poiché le risorse per l’assistenza non sono infinite, ciò crea ovviamente inefficienze, ritardi, ingiustizie. Peraltro, questo tipo di assistenza “interna” costa molto di più di quella che sarebbe possibile offrire nel Paese di provenienza.
4.3. Quelli che dicono: “L’Italia agli Italiani”.
Se riteniamo che Italiani siano i cittadini che si riconoscono in un patrimonio di cultura e di valori condivisi, bisogna ricordare che questa categoria deve essere “aperta”: possono esserci nuovi Italiani, che – accettando l’integrazione - accolgono la cultura che li ospita e la arricchiscono col loro apporto. Come è già successo nei secoli precedenti.
Se invece qualcuno vuole cristallizzare la cultura italiana, vuole stabilire un anno zero in cui “Italiani” sono solo i figli dei cittadini attuali, bisogna ricordare che una civiltà muore non solo quando viene spazzata via, ma anche quando diventa sterile.
Senza contare le venature xenofobe o razziste di una difesa “etnica” dell’italianità.
4.4. Gli xenofobi.
I termini razzista e “xenofobo” (“colui che ha paura dello straniero”) sono spesso utilizzati con troppa disinvoltura dai militanti del moralismo antirazzista; sono marchi con cui mettere a tacere chi la pensa diversamente. Dare a qualcuno dello “xenofobo”, poi, sottintende malignamente che quel qualcuno non esprime un’idea (da criticare) ma manifesta i sintomi di una malattia, una “fobìa” (da curare).
Ciò detto, il razzismo e la xenofobia esistono. Non sono “malattie” individuali, ma “mali” culturali che possono emergere in particolari contesti storici e sociali.
Il razzismo, inteso come idea che esista una “inferiorità” genetica di altre “razze” o gruppi etnici, forse, ha una diffusione molto contenuta. Ma è talmente odioso – per quanto stupido – che richiede sempre la massima vigilanza.
La xenofobia, intesa come diffidenza verso lo “straniero” (identificato da lingua, cultura, religione, ecc.), e più in generale il “diverso”, ha invece più facilità ad attecchire.
Ebbene, per fare un esempio, è lecito esprimere l’opinione – non la certezza - che, in generale, molti francesi siano un po’ spocchiosi, fissati con la grandeur. Ma non si può sostenere che tutti i Francesi abbiano questa connotazione (così come non tutti gli Italiani sono cantanti o furbi o mafiosi). E, soprattutto, non si possono attuare comportamenti discriminatori rispetto alla singola persona (che magari è un francese simpaticissimo e umilissimo) sulla base di una considerazione generale.
Oppure: possiamo rilevare che alcune correnti della religione islamica esprimono intolleranza, o non pongono paletti chiari rispetto all’integralismo islamista, anche violento. Possiamo pretendere che nelle moschee si rispettino le leggi, e quindi non si propagandi l’odio o non si faccia il reclutamento di kamikaze. Ma non possiamo attribuire queste tentazioni a tutte le correnti islamiche, o anche solo a tutti gli adepti delle correnti più a rischio. E, soprattutto, non possiamo conculcare la libertà religiosa dei singoli musulmani.
La generalizzazione esprime una semplificazione forse comprensibile, ma inaccettabile se incide sui diritti e la dignità delle singole persone.
La paura del diverso può soddisfare il meccanismo psicologico della ricerca del “capro espiatorio”, particolarmente forte nelle situazioni di crisi sociale; ma non può mai rappresentare la soluzione di un problema.
Pensare che lo straniero in sé sia la causa dei mali di un Paese è un’idea astratta e irreale, oltre che inumana.
I fatti dicono che esistono tanti stranieri onesti, laboriosi, e disposti a integrarsi.
I fatti dicono che di questi stranieri abbiamo bisogno. Dal punto di vista della forza lavoro, ma anche dei capitali, degli apporti culturali.
E non solo. Viene denunciata giustamente l’alta incidenza della delinquenza di origine straniera, figlia della disperazione. Ma se guardiamo la natura della delinquenza di origine italiana, figlia di un benessere “sazio e disperato”; se guardiamo l’apatia che si diffonde nelle nostre città; allora viene da pensare che abbiamo bisogno anche della ricchezza umana degli immigrati…
L'ITALIA
L'immigrazione in Italia è un fenomeno relativamente recente, che ha cominciato a raggiungere dimensioni significative all'incirca nei primi anni settanta, per poi diventare un fenomeno caratterizzante della demografia italiana nei primi anni del XXI secolo. Al 1º gennaio 2009 l'Italia era il quarto Paese europeo per numero assoluto di stranieri residenti, dopo Germania (7,2 milioni), Spagna (5,7 milioni) e Regno Unito (4 milioni). In termini percentuali, tuttavia, si collocava undicesima.
L'Italia, per gran parte della sua storia recente è stato un paese di emigrazione; si stima che tra il 1876 e il 1976 partirono oltre 24 milioni di persone (con una punta massima nel 1913 di oltre 870.000 partenze), al punto che oggi si parla di grande emigrazione o diaspora italiana.
Per tutto questo periodo, il fenomeno dell'immigrazione era stato invece pressoché inesistente, ove si eccettuino le migrazioni dovute alle conseguenze della seconda guerra mondiale, come l'esodo istriano o il rientro degli italiani dalle ex-colonie d'Africa. Tali fenomeni tuttavia avevano un carattere episodico e non presentavano sostanziali problemi d'integrazione dal punto di vista sociale o culturale. L'Italia rimase tendenzialmente un paese dal saldo migratorio negativo; il fenomeno dell'emigrazione cominciò ad affievolirsi decisamente solo a partire dagli anni sessanta, dopo gli anni del miracolo economico.
In particolare, nel 1973, l'Italia ebbe per la prima volta un leggerissimo saldo migratorio positivo (101 ingressi ogni 100 espatri), caratteristica che sarebbe diventata costante, amplificandosi negli anni a venire. È da notare tuttavia che in tale periodo gli ingressi erano ancora in gran parte costituiti da emigranti italiani che rientravano nel Paese, piuttosto che da stranieri. Il flusso di stranieri cominciò a prendere consistenza solo verso la fine degli anni settanta, sia per la "politica delle porte aperte" praticata dall'Italia, sia per politiche più restrittive adottate da altri paesi. Nel 1981, il primo censimento Istat degli stranieri in Italia calcolava la presenza di 321.000 stranieri, di cui circa un terzo "stabili" e il rimanente "temporanei". Un anno dopo, nel 1982 veniva proposto un primo programma di regolarizzazione degli immigrati privi di documenti, mentre nel 1986 fu varata la prima legge in materia (L. 943 del 30.12.1986) con cui ci si poneva l'obiettivo di garantire ai lavoratori extracomunitari gli stessi diritti dei lavoratori italiani. Nel 1991 il numero di stranieri residenti era di fatto raddoppiato, passando a 625.000 unità.
Negli anni novanta il saldo migratorio ha continuato a crescere e, dal 1993 (anno in cui per la prima volta il saldo naturale è diventato negativo), è diventato il solo responsabile della crescita della popolazione italiana.
Nel 1990 veniva emanata la cosiddetta legge Martelli, che cercava per la prima volta di introdurre una programmazione dei flussi d'ingresso, oltre a costituire una sanatoria per quelli che si trovavano già nel territorio italiano: allo scadere dei sei mesi previsti vennero regolarizzati circa 200.000 stranieri, provenienti principalmente dal Nordafrica.
Nel 1991 l'Italia dovette anche confrontarsi con la prima "immigrazione di massa", dall'Albania (originata dal crollo del blocco comunista), risolta con accordi bilaterali. Negli anni seguenti ulteriori accordi bilaterali verranno stipulati con altri Paesi, principalmente dell'area mediterranea. Secondo dati stimati dalla Caritas, nel 1996 erano presenti in Italia 924.500 stranieri.
È del 1998 la legge Turco-Napolitano, che cercava di regolamentare ulteriormente i flussi in ingresso, cercando tra l'altro di scoraggiare l'immigrazione clandestina e istituendo, per la prima volta in Italia, i centri di permanenza temporanea per quegli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione". La materia sarà tuttavia regolamentata nuovamente nel 2002, con la cosiddetta legge Bossi-Fini, che prevede, tra l'altro, anche la possibilità dell'espulsione immediata dei clandestini da parte della forza pubblica.
Alla data del censimento della popolazione del 2001 risultavano presenti in Italia 1.334.889 stranieri, mentre le comunità maggiormente rappresentate erano quella marocchina (180.103 persone) e albanese (173.064); tale valore, nel 2005 era giunto a 1.990.159, mentre le comunità albanese e marocchina contavano, rispettivamente 316.000 e 294.000 persone.
Ogni discussione su questo tema, però, non può essere una fredda comparazione di costi e benefici. Non bisogna mai dimenticare che il “fenomeno” immigrazione è fatto dagli... immigrati: uomini in carne ed ossa, con le loro storie, le loro speranze, le loro paure e debolezze, i loro diritti (e i loro doveri), la loro creatività, la voglia di rendersi utili (o di approfittare delle situazioni), i loro vincoli familiari.
La dimensione dell’immigrato-uomo spesso è trascurata anche da coloro che vedono nell’immigrazione solo una risorsa, e che si vorrebbero porre come paladini degli immigrati. Ma vedremo che proprio la dimensione di umanità può essere calpestata e offesa, se l’immigrazione è incoraggiata senza nessuna gestione o controllo.
1. Problemi e benefici connessi all’immigrazione.
Esistono numerosi problemi che possono derivare da un’immigrazione eccessiva e non regolamentata, e che possono recar danno alla società, ma anche ferire la dignità stessa degli immigrati (come degli Italiani più deboli):
1. cattive condizioni di vita degli immigrati, sia dal punto di vista del lavoro (bassi salari, sicurezza e diritti precari) sia da quello dell'alloggio (alti prezzi di acquisto e affitto, condizioni malsane e sovraffollamento);
2. peggioramento delle condizioni di lavoro e di alloggio degli Italiani delle fasce più deboli, che entrano in competizione con gli immigrati;
3. scadimento di un sistema di protezione sociale gravato da troppo assistiti, con conseguenze negative per gli Italiani che non hanno la possibilità di pagarsi tutele privatistiche;
4. delinquenza degli immigrati senza lavoro. Una condizione di cui questi immigrati possono essere parzialmente anche vittime, perché arrivano con speranze non realizzabili. E vittime, ovviamente, sono i cittadini locali, soprattutto quelli dei quartieri dove si concentrano gli insediamenti di immigrati;
5. sfruttamento degli immigrati da parte della criminalità organizzata che gestisce i flussi migratori. Si va dall’impoverimento di immigrati che al loro Paese avevano una condizione di vita dignitosa, sono stati spinti a vendere tutto per pagare il viaggio, e non vedono realizzabili aspettative che spesso erano state enfatizzate da chi li ha incoraggiati a partire. Sino ad arrivare allo schiavismo e alla tratta delle giovani donne, indotte a partire con la promessa di lavoro e poi costrette alla prostituzione;
6. impoverimento dei Paesi di provenienza, privati delle risorse umane più intraprendenti e più pronte al sacrificio (l'ambasciatore rumeno Razvan Rusu ha denunciato che in Romania inizia ad esserci una forte carenza di manodopera: almeno 27mila lavoratori);
7. violenza sui soggetti deboli nelle comunità-ghetto di immigrati;
8. conflitti sociali ed economici, soprattutto tra le classi deboli italiane e immigrate (“guerra tra poveri”);
9. conflitti politici e culturali per l’esistenza di differenze inconciliabili su principî di convivenza e diritti fondamentali: idea della laicità dello Stato, diritti delle donne e dei minori, diversa sensibilità sull’esigenza di isolare violenza e terrorismo, ecc.Si badi bene: quelli che abbiamo passato in rassegna sono i problemi derivanti da un’immigrazione eccessiva e non regolamentata. Molti di questi problemi possono essere evitati se ci si sforza di gestire il fenomeno.
Inoltre, non bisogna dimenticare i nostri doveri di solidarietà, né i benefici e le risorse che pure vengono dall’immigrazione:
1. manodopera per numerosi settori in cui c’è carenza;
2. contributo di creatività e sviluppo economico anche in altri settori, perché l’economia cresce anche trasformandosi, innervata da nuove idee;
3. apporto positivo alla stabilità sociale derivante dallo spirito di laboriosità e di sacrificio tipico degli emigranti;
4. arricchimento culturale. Il rischio che l’incontro di culture diverse diventi scontro non deve far dimenticare l’opportunità che sia incontro fecondo.
2. I criterî fondamentali per “gestire” l’immigrazione.
Come dosare problemi e risorse? In che cosa consiste la “gestione”, la “regolamentazione” del fenomeno migratorio?
I criterî fondamentali sono a nostro avviso due:
2.1. Programmazione dei flussi.
L’immigrazione non è un “diritto” in sé. Ricordiamo che ad ogni diritto corrisponde un dovere, e che l’adempimento di questo dovere dev’essere possibile. (Ad esempio, possiamo dire che un figlio ha diritto alla migliore istruzione possibile; non che possa pretendere - da genitori che non ne hanno la possibilità – la frequenza di master all’estero).
Ciò nondimeno, esiste un dovere morale, di solidarietà umana, ad aiutare ed accogliere le persone in condizione di bisogno. Questo dovere deve essere esercitato, appunto, nei limiti in cui sia realisticamente possibile, nei limiti in cui l’accoglienza offerta sia dignitosa (non si può dire: “vieni e arrangiati”), nei limiti in cui consenta il rispetto del bene comune della società ospitante.
Possiamo e dobbiamo, dunque, accogliere gli immigrati – e le loro famiglie - ai quali siamo in grado di offrire un lavoro. Programmando il numero di coloro che possiamo accogliere, e assicurando il rispetto di questa programmazione (se necessario, con respingimenti alle frontiere e rimpatrî obbligati).
Inoltre, possiamo accogliere gli immigrati che abbiano effettivamente il desiderio di contribuire al bene comune della società che li ospita. Per chi delinque, non si può considerare un dovere di solidarietà garantire l’ “ospitalità” nelle nostre prigioni...
2.2. Integrazione degli immigrati.
Gli immigrati - a parte quelli temporanei (stagionali, per motivi di studio) - sono in larga parte persone che entrano in nuovo Paese per costruirsi una nuova vita, stabilirvisi a lungo, in molti casi per sempre. Ebbene, è necessario che questo inserimento avvenga senza conflitti con la società che li ospita, costruendo una graduale reciprocità di diritti e doveri.
Un immigrato, dunque, deve rispettare innanzi tutto le leggi del Paese che lo ospita. Non possono esserci zone franche, quartieri di immigrati, dove queste leggi (con particolare riguardo ai diritti fondamentali delle persone: diritti delle donne, dei bambini) non sono rispettate.
Rispettando tali leggi, l’immigrato potrà esigere il rispetto dei diritti umani e di libertà (personale, di inviolabilità del domicilio, di espressione, di religione, di tutela giudiziaria, di istruzione per i minori) che la Costituzione riconosce a chiunque soggiorni nel nostro territorio; nonché il rispetto dei diritti connessi alla propria prestazione lavorativa e dei diritti di prestazione economica connessi alle tasse versate.
A questo primo livello di integrazione – la capacità di rispettare regole comuni – ne dovrà seguire uno ulteriore: la cittadinanza. Si tratta dello status cui sono connessi i diritti civili e politici, cioè i diritti che la Costituzione riserva ai cives, ai cittadini: la pienezza del diritto a circolare e soggiornare in ogni parte del territorio e del diritto di associazione; la possibilità di ottenere politiche di sostegno sociale allargate; la possibilità di determinare (con il voto) gli indirizzi e le regole della comunità.
La necessità di graduare il godimento di tali diritti – e di pretendere il rispetto di corrispettivi doveri – deriva dal fatto che una comunità non si regge solo sulle leggi economiche, su logiche di scambio. Una comunità ha regole di convivenza sociale che sono l’espressione di valori comuni. Una comunità ha bisogno di legami di solidarietà che non possono essere imposti, ma si attivano se c’è reciproco riconoscimento tra i membri della comunità stessa.
Non si è più immigrati, ma cittadini a pieno titolo, dunque, dopo aver appreso la lingua di un Paese, dopo avervi vissuto un numero di anni sufficiente a comprenderne la mentalità e la cultura, e a condizione di condividere i valori fondamentali espressi dalla Carta costituzionale di quel Paese. Dopo che si è raggiunto, insomma, un pieno livello di integrazione. Convinzione che sembra maturare nella sinistra italiana (vedi le posizioni di Barbara Pollastrini).
I criterî che abbiamo delineato per la gestione dell’immigrazione potrebbero sembrare troppo rigidi o apodittici. Per approfondirli meglio, e comprenderne l’importanza, possiamo esaminare i luoghi comuni, i pregiudizî, le esigenze economiche, le ideologie politiche che animano il dibattito sulla materia, soprattutto da parte di coloro che – da fronti opposti - sono contrarî ad una gestione del fenomeno: o perché pensano che l’immigrazione debba essere assolutamente libera; o perché pensano che vada semplicemente impedita.
3. Quelli che dicono “l’immigrazione è una risorsa”.
Ma chi sono coloro che incoraggiano un’immigrazione intensa, con maglie larghe (o addirittura senza controlli)? Quali argomenti propongono?
3.1. La domanda di manodopera delle imprese.
Tra i fautori di un’immigrazione intensa ci sono molti imprenditori, che richiedono manodopera per i lavori “che gli Italiani non vogliono più fare”. Ma è davvero così?
Ci sono, effettivamente, alcuni lavori che negli ultimi anni, con la diffusione del benessere, gli Italiani amano sempre meno. Si tratta soprattutto delle attività considerate più “umili”, che richiedono grande fatica, che comportano rischi: badanti, operai non specializzati, braccianti agricoli.
La realtà non è però così semplice. Non è che in Italia si studi più che in passato: la percentuale di laureati è stabile, nonostante il percorso di studi sia spesso più facile e siano state create numerose opportunità di formazione specialistica “breve”. Molti Italiani cercano lavoro senza avere grande professionalità. Davvero sono tutti presuntuosi e sfaticati, davvero pretendono tutti un lavoro “dietro la scrivania”?
O non sarà che, spesso, certi lavori gli Italiani non li vogliono fare perché quei lavori sono mal pagati, perché non si è tutelati dai rischi mediante adeguate misure di sicurezza?
“Ma il costo della manodopera non può salire troppo, altrimenti le imprese non sono più competitive”. Anche qui, c’è parecchia ipocrisia.
Quanto incide la manodopera nel manifatturiero, uno dei settori più proiettati all’esportazione (e quindi con l’esigenza della competitività)? Il 20-30% del prezzo finale. Il resto è ripartito tra profitti, ricerca, costi per macchinari e processi di trasformazione, costi energetici, pubblicità e – soprattutto – costi di distribuzione (trasporti e margini di guadagno di grossisti e rivenditori finali). Nell’agricoltura il prezzo al dettaglio spesso supera di dieci volte quello alla produzione!
La competitività non la possiamo costruire limando i salari (che, in ogni caso, resterebbero superiori a quelli dei Paesi meno sviluppati) o risparmiando sulla sicurezza. La competitività la dobbiamo costruire sull’innovazione, la qualità, la riduzione della pressione fiscale, il supporto di strutture e amministrazioni efficienti. Tant’è che abbiamo salari tra i più bassi (anche per colpa della tassazione) dei Paesi OCSE, eppure non siamo altrettanto competitivi!
Lavori sottopagati e insicuri: è una situazione che ferisce la dignità degli immigrati e danneggia una parte di cittadini italiani, quelli delle fasce sociali più deboli, che sarebbero disposti a lavorare a condizioni migliori.
Peraltro, i lavori sottopagati rallentano l'innovazione, perché i bassi salarî rendono conveniente mantenere in vita anche lavori destinati a scomparire.
Aggiungiamo un’altra osservazione: gli immigrati non vengono a svolgere solo i lavori più umili, ma anche – col passare del tempo – lavori qualificati. Lavori appetiti, naturalmente, da un numero ancora maggiore di Italiani: operai non solo generici, ma specializzati; artigiani; commercianti; tassisti (magari alle dipendenze di società e cooperative); ecc. Prossimamente: ingegneri, matematici, chimici. Il che è giusto e inevitabile: non si può immaginare che l’immigrato sia confinato in una condizione di serie B.
Ma il problema è: c’è bisogno di questa manodopera? In che quantità? O si vuole creare una competizione che abbassi oltremisura il potere contrattuale dei lavoratori? Si vuole creare quello che Marx definiva “esercito industriale di riserva”? Certo, Marx sbagliava a considerare una condizione necessaria del capitalismo quella che era una condizione occasionale del mercato del lavoro (eccesso di offerta), di cui magari poteva approfittare la miopia di qualche capitalista senza scrupoli. L’economia di mercato, invece, è aiutata da salari alti, che creano domanda di consumo e stimolano l’economia. Però non dobbiamo fingere di non vedere che la miopia di qualche capitalista-imprenditore può ripresentarsi...
3.2. L'illusione di usare gli immigrati per pagare le pensioni.
Le riforme pensionistiche sin qui approvate non sono sufficienti a sanare lo squilibrio dei conti pensionistici, dovuto al fatto che le pensioni sin qui erogate sono molto più elevate dei contributi versati da quei lavoratori. Il "trucco" di pagare le pensioni con i contributi dei lavoratori ancora in attività non funziona più, a causa del calo demografico. I giovani che già sono entrati nel sistema a “capitalizzazione” dovranno versare ancora a lungo, oltre ai contributi per la propria pensione, i soldi per pagare le pensioni già erogate, ed anche per sostenere i servizi sociali (assistenza, sanità) necessarî ad una popolazione sempre più anziana.
E' illusorio pensare che il problema si possa risolvere favorendo l'immigrazione, per pagare le pensioni con i contributi dei lavoratori immigrati.
Innanzitutto, molti immigrati lavorano in nero, e quelli in regola esercitano attività scarsamente remunerative, versando di conseguenza contributi esigui; si porrà anzi il problema del loro trattamento pensionistico. Quand’anche si arrivasse ad una generazione di giovani lavoratori immigrati che abbia acquisito un importante peso politico e sociale, non è da trascurare il fatto che essi, probabilmente, si lamenteranno di essere “sfruttati” se si chiederà loro di “mantenere” gli italiani anziani.
La gravità del fenomeno può essere attenuata solo, in prospettiva, da una veloce ripresa demografica.
3.3. Gli immigrati strumentalizzati dalla sinistra estrema.
Marx era convinto che il capitalismo si reggesse solo sullo sfruttamento, per cui il suo collasso doveva essere inevitabile. La storia lo ha smentito.
Eppure non manca qualche comunista nostalgico che resta abbagliato da queste idee. Qualcuno convinto che “bisogna far esplodere le contraddizioni interne del capitalismo”, attirando masse di immigrati in numero tale che non possano essere assorbiti senza aspri conflitti sociali, e che si arrivi ad una “crisi di sistema”. Insomma: se il capitalismo non cade da solo... diamogli una mano!
Inoltre, questi nuovi immigrati in condizioni di disagio dovrebbero divenire un bacino elettorale per partiti che conoscono un inesorabile declino storico.
Qualcuno potrà essere abbagliato dalle argomentazioni ‘ufficiali’ di comunisti, “antagonisti”, “no global”: si parla di sviluppo globale, società più giusta, multiculturalità, ecc. Ma il loro vero pensiero può essere compreso se si seguono con attenzione le loro analisi e i loro comportamenti.
In questa sede possiamo ribadire solo, in estrema sintesi, che lo sfruttamento – interno e internazionale - è un abuso che può esistere ed esiste, ma non è la condizione stessa dell’economia di mercato. Lo sviluppo delle economie libere ha portato alla crescita e alla diffusione del benessere; il sottosviluppo che permane in alcuni Paesi poveri, causa dei fenomeni migratori, non dipende dalla ricchezza dei Paesi ricchi, come abbiamo spiegato meglio nella recensione del libro Poveri, perché?In aggiunta, vogliamo solo sottolineare il cinismo – tipico di quanti sono accecati da un’ideologia – che non guarda agli immigrati come persone, ma come “masse di manovra rivoluzionaria”; un cinismo che non si fa scrupolo di soffiare sul fuoco dello scontro tra le fasce sociali più deboli.
3.4. I sensi di colpa degli idealisti utopici.
Esistono alcuni convinti davvero che sia possibile accogliere tutti condividendo il nostro benessere. E che da questo incontro verranno spontaneamente progresso, crescita culturale, pace, ecc. A questa convinzione si aggiunge un certo senso di colpa – derivante anche dai luoghi comuni ereditati dal comunismo -, secondo cui i Paesi ricchi avrebbero la responsabilità della povertà nel mondo.
Ebbene, la speranza e la voglia di migliorare le cose sono una virtù. L’utopia e la mancanza di senso della realtà sono, invece, pericolosissime.
Accogliere milioni – miliardi? – di persone, in maniera rapida e incontrollata, non significa condividere la nostra ricchezza, ma la loro povertà. Strapparle alle loro terre, alle loro culture, significa far loro violenza, non essere solidali. Significa compromettere le possibilità di sviluppo dei Paesi del Terzo Mondo, privati delle risorse umane più qualificate e volenterose.
Se davvero vogliamo esercitare la solidarietà, dobbiamo investire – molto di più di quanto fatto sinora – in interventi efficaci per lo sviluppo dei Paesi poveri.
3.5. I “multiculturalisti”.
Esiste non solo la necessità di regolare il numero degli immigrati, ma anche quella di creare le premesse per la loro integrazione.
3.7. I moralisti: “discutere l’immigrazione alimenta il razzismo”.
I moralisti sono coloro che amano salire su un pulpito e dare bacchettate, piuttosto che analizzare una questione. Se poi si sposano con gli apostoli del “politicamente corretto”, che hanno già in tasca la lista delle idee ammesse nel dibattito pubblico, e di quelle respinte perché “intolleranti”, allora il cocktail è micidiale...
Se c’è il rischio razzista che tutti gli stranieri, o tutti gli appartenenti a diverse etnie, vengano considerati pericolosi, questo rischio non lo si elimina imponendo la finzione che siano tutti angelici e migliori degli altri, in una sorta di “razzismo” rovesciato.
Se c’è il rischio di trascurare l’importanza del lavoro degli immigrati onesti, non bisogna rinunciare ad affrontare i problemi sociali ed economici che l’immigrazione comporta.
Se razzismo significa generalizzare, il suo contrario è distinguere, analizzare un fenomeno, porsi domande, cercare risposte.
Ancora una volta: l’immigrato onesto è danneggiato quando non si affrontano i problemi, oppure quando viene confuso con il criminale immigrato .Questa confusione viene incoraggiata anche quando ci si limita ai proclami contro la criminalità, o si finge di prendere provvedimenti che poi non vengono assunti: atteggiamenti tipici dei moralisti, che ai fatti preferiscono le parole.
3.8. I fatalisti: “l’immigrazione non si può fermare”.
Non parlano apertamente di immigrazione come risorsa, ma alla fine la incoraggiano ugualmente, quanti sostengono che si tratta di un “fenomeno epocale e inarrestabile”, che “è inutile alzare barriere”, che “l’Occidente non può rinchiudersi in una fortezza”, che “l’emigrazione è un fenomeno esistito in ogni epoca”, ecc. Frasi suggestive, che però non dicono granché. Esprimono una resa, scrollano le spalle di fronte ai drammi umani che i fenomeni migratori incontrollati portano con sé.
Il problema non è di fermare la storia o bloccare i fenomeni migratori. Il problema è di trovare il modo di gestirli: nessun Paese ha mai accettato un’immigrazione indiscriminata. Gli Stati Uniti d’America sono un Paese sorto proprio con le immigrazioni; qualcuno ricorda Ellis Island, l’isolotto alla foce del fiume Hudson dove gli immigrati venivano visitati, controllati, “filtrati” anche in base al rispetto delle quote stabilite?
Le modalità con le quali devono essere programmati i flussi (numero massimo per anno, per tipologia professionale, per Paese di provenienza) possono essere diverse. L’importante è che questa programmazione sia applicata rigorosamente, respingendo alle frontiere o riaccompagnando al Paese di provenienza chi non ha titolo e possibilità di essere accolto.
Ciò significa insensibilità verso i disperati? No, perché i flussi migratori non sono quasi mai alimentati spontaneamente da disperati, ma incanalati dalla criminalità organizzata. Si viene in Italia con ogni mezzo, perché si sa di non essere respinti. Ed anche quelli che partono con intenzioni poco oneste, scelgono il Paese considerato più “indulgente”. Quando invece si sa che l’immigrazione clandestina non offre prospettive, si scelgono altre vie.
La superficialità delle argomentazioni che fanno appello all’inevitabilità del fenomeno migratorio, del resto, deriva dal fatto che si tratta della via di fuga di chi resta a corto di argomenti nel magnificare le virtù di un’immigrazione senza controlli.
4. Quelli che dicono “l’immigrazione è un problema”.
Sino ad oggi hanno prevalso le tesi di quanti sono favorevoli a flussi immigratori consistenti, o comunque non ritengono di dover gestire il fenomeno. Ed abbiamo quindi accennato ai problemi che questa mancata gestione può comportare, e che stanno cominciando ad esplodere.
Ma è altrettanto parziale e fuorviante la visione di chi considera l’immigrazione solo un problema, una visione che sembra iniziare a farsi largo.
4.1. Gli stranieri tolgono lavoro agli Italiani?
Questa risposta può avere una risposta affermativa nei termini in cui ne abbiamo parlato all’inizio, cioè in caso di immigrazione incontrollata.
Ma la preoccupazione per il lavoro degli Italiani non può tradursi nella pretesa di una chiusura assoluta delle frontiere. L’esigenza di nuova manodopera, in quantità consistenti, non può essere ignorata.
Aggiungiamo che non serve solo “manodopera”, ma anche lavoro qualificato: nuove idee, nuovi cervelli, nuovi entusiasmi fanno crescere un Paese.
Anche una certa dose di concorrenza può stimolare gli Italiani a non sedersi sugli allori del “posto sicuro”, e a curare dunque la propria formazione e la propria crescita professionale. L’importante è che si tratti di una concorrenza di proporzioni complessivamente assorbibili dal mercato del lavoro.
4.2. Gli stranieri prosciugano le risorse di protezione sociale.
L’assistenza sociale agli stranieri che lavorano e pagano le tasse, e ai loro congiunti, non può essere negata. Non dimentichiamo che molti pensionati italiani vedono pagata la loro pensione con i contributi versati da lavoratori stranieri.
Altra cosa è consentire ricongiungimenti familiari estesi (genitori, fratelli, parenti), e garantire prestazioni assistenziali ad una categoria di beneficiari indefinita. Poiché le risorse per l’assistenza non sono infinite, ciò crea ovviamente inefficienze, ritardi, ingiustizie. Peraltro, questo tipo di assistenza “interna” costa molto di più di quella che sarebbe possibile offrire nel Paese di provenienza.
4.3. Quelli che dicono: “L’Italia agli Italiani”.
Se riteniamo che Italiani siano i cittadini che si riconoscono in un patrimonio di cultura e di valori condivisi, bisogna ricordare che questa categoria deve essere “aperta”: possono esserci nuovi Italiani, che – accettando l’integrazione - accolgono la cultura che li ospita e la arricchiscono col loro apporto. Come è già successo nei secoli precedenti.
Se invece qualcuno vuole cristallizzare la cultura italiana, vuole stabilire un anno zero in cui “Italiani” sono solo i figli dei cittadini attuali, bisogna ricordare che una civiltà muore non solo quando viene spazzata via, ma anche quando diventa sterile.
Senza contare le venature xenofobe o razziste di una difesa “etnica” dell’italianità.
4.4. Gli xenofobi.
I termini razzista e “xenofobo” (“colui che ha paura dello straniero”) sono spesso utilizzati con troppa disinvoltura dai militanti del moralismo antirazzista; sono marchi con cui mettere a tacere chi la pensa diversamente. Dare a qualcuno dello “xenofobo”, poi, sottintende malignamente che quel qualcuno non esprime un’idea (da criticare) ma manifesta i sintomi di una malattia, una “fobìa” (da curare).
Ciò detto, il razzismo e la xenofobia esistono. Non sono “malattie” individuali, ma “mali” culturali che possono emergere in particolari contesti storici e sociali.
Il razzismo, inteso come idea che esista una “inferiorità” genetica di altre “razze” o gruppi etnici, forse, ha una diffusione molto contenuta. Ma è talmente odioso – per quanto stupido – che richiede sempre la massima vigilanza.
La xenofobia, intesa come diffidenza verso lo “straniero” (identificato da lingua, cultura, religione, ecc.), e più in generale il “diverso”, ha invece più facilità ad attecchire.
Ebbene, per fare un esempio, è lecito esprimere l’opinione – non la certezza - che, in generale, molti francesi siano un po’ spocchiosi, fissati con la grandeur. Ma non si può sostenere che tutti i Francesi abbiano questa connotazione (così come non tutti gli Italiani sono cantanti o furbi o mafiosi). E, soprattutto, non si possono attuare comportamenti discriminatori rispetto alla singola persona (che magari è un francese simpaticissimo e umilissimo) sulla base di una considerazione generale.
Oppure: possiamo rilevare che alcune correnti della religione islamica esprimono intolleranza, o non pongono paletti chiari rispetto all’integralismo islamista, anche violento. Possiamo pretendere che nelle moschee si rispettino le leggi, e quindi non si propagandi l’odio o non si faccia il reclutamento di kamikaze. Ma non possiamo attribuire queste tentazioni a tutte le correnti islamiche, o anche solo a tutti gli adepti delle correnti più a rischio. E, soprattutto, non possiamo conculcare la libertà religiosa dei singoli musulmani.
La generalizzazione esprime una semplificazione forse comprensibile, ma inaccettabile se incide sui diritti e la dignità delle singole persone.
La paura del diverso può soddisfare il meccanismo psicologico della ricerca del “capro espiatorio”, particolarmente forte nelle situazioni di crisi sociale; ma non può mai rappresentare la soluzione di un problema.
Pensare che lo straniero in sé sia la causa dei mali di un Paese è un’idea astratta e irreale, oltre che inumana.
I fatti dicono che esistono tanti stranieri onesti, laboriosi, e disposti a integrarsi.
I fatti dicono che di questi stranieri abbiamo bisogno. Dal punto di vista della forza lavoro, ma anche dei capitali, degli apporti culturali.
E non solo. Viene denunciata giustamente l’alta incidenza della delinquenza di origine straniera, figlia della disperazione. Ma se guardiamo la natura della delinquenza di origine italiana, figlia di un benessere “sazio e disperato”; se guardiamo l’apatia che si diffonde nelle nostre città; allora viene da pensare che abbiamo bisogno anche della ricchezza umana degli immigrati…
L'ITALIA
L'immigrazione in Italia è un fenomeno relativamente recente, che ha cominciato a raggiungere dimensioni significative all'incirca nei primi anni settanta, per poi diventare un fenomeno caratterizzante della demografia italiana nei primi anni del XXI secolo. Al 1º gennaio 2009 l'Italia era il quarto Paese europeo per numero assoluto di stranieri residenti, dopo Germania (7,2 milioni), Spagna (5,7 milioni) e Regno Unito (4 milioni). In termini percentuali, tuttavia, si collocava undicesima.
L'Italia, per gran parte della sua storia recente è stato un paese di emigrazione; si stima che tra il 1876 e il 1976 partirono oltre 24 milioni di persone (con una punta massima nel 1913 di oltre 870.000 partenze), al punto che oggi si parla di grande emigrazione o diaspora italiana.
Per tutto questo periodo, il fenomeno dell'immigrazione era stato invece pressoché inesistente, ove si eccettuino le migrazioni dovute alle conseguenze della seconda guerra mondiale, come l'esodo istriano o il rientro degli italiani dalle ex-colonie d'Africa. Tali fenomeni tuttavia avevano un carattere episodico e non presentavano sostanziali problemi d'integrazione dal punto di vista sociale o culturale. L'Italia rimase tendenzialmente un paese dal saldo migratorio negativo; il fenomeno dell'emigrazione cominciò ad affievolirsi decisamente solo a partire dagli anni sessanta, dopo gli anni del miracolo economico.
In particolare, nel 1973, l'Italia ebbe per la prima volta un leggerissimo saldo migratorio positivo (101 ingressi ogni 100 espatri), caratteristica che sarebbe diventata costante, amplificandosi negli anni a venire. È da notare tuttavia che in tale periodo gli ingressi erano ancora in gran parte costituiti da emigranti italiani che rientravano nel Paese, piuttosto che da stranieri. Il flusso di stranieri cominciò a prendere consistenza solo verso la fine degli anni settanta, sia per la "politica delle porte aperte" praticata dall'Italia, sia per politiche più restrittive adottate da altri paesi. Nel 1981, il primo censimento Istat degli stranieri in Italia calcolava la presenza di 321.000 stranieri, di cui circa un terzo "stabili" e il rimanente "temporanei". Un anno dopo, nel 1982 veniva proposto un primo programma di regolarizzazione degli immigrati privi di documenti, mentre nel 1986 fu varata la prima legge in materia (L. 943 del 30.12.1986) con cui ci si poneva l'obiettivo di garantire ai lavoratori extracomunitari gli stessi diritti dei lavoratori italiani. Nel 1991 il numero di stranieri residenti era di fatto raddoppiato, passando a 625.000 unità.
Negli anni novanta il saldo migratorio ha continuato a crescere e, dal 1993 (anno in cui per la prima volta il saldo naturale è diventato negativo), è diventato il solo responsabile della crescita della popolazione italiana.
Nel 1990 veniva emanata la cosiddetta legge Martelli, che cercava per la prima volta di introdurre una programmazione dei flussi d'ingresso, oltre a costituire una sanatoria per quelli che si trovavano già nel territorio italiano: allo scadere dei sei mesi previsti vennero regolarizzati circa 200.000 stranieri, provenienti principalmente dal Nordafrica.
Nel 1991 l'Italia dovette anche confrontarsi con la prima "immigrazione di massa", dall'Albania (originata dal crollo del blocco comunista), risolta con accordi bilaterali. Negli anni seguenti ulteriori accordi bilaterali verranno stipulati con altri Paesi, principalmente dell'area mediterranea. Secondo dati stimati dalla Caritas, nel 1996 erano presenti in Italia 924.500 stranieri.
È del 1998 la legge Turco-Napolitano, che cercava di regolamentare ulteriormente i flussi in ingresso, cercando tra l'altro di scoraggiare l'immigrazione clandestina e istituendo, per la prima volta in Italia, i centri di permanenza temporanea per quegli stranieri "sottoposti a provvedimenti di espulsione". La materia sarà tuttavia regolamentata nuovamente nel 2002, con la cosiddetta legge Bossi-Fini, che prevede, tra l'altro, anche la possibilità dell'espulsione immediata dei clandestini da parte della forza pubblica.
Alla data del censimento della popolazione del 2001 risultavano presenti in Italia 1.334.889 stranieri, mentre le comunità maggiormente rappresentate erano quella marocchina (180.103 persone) e albanese (173.064); tale valore, nel 2005 era giunto a 1.990.159, mentre le comunità albanese e marocchina contavano, rispettivamente 316.000 e 294.000 persone.
CIO'CHE STA SUCCEDENDO IN ITALIA
La situazione di Lampedusa è «insostenibile e inaccettabile». L'isola scoppia, dice Giorgio Napolitano e le Regioni, «tutte le Regioni» devono fare la loro parte. Ma il capo dello Stato chiede «coesione e solidarietà» anche alla Ue. «È un'emergenza che tutta l'Europa deve sentire come propria. Bisogna intensificare, e già lo si sarebbe dovuto fare nei giorni scorsi, l'afflusso di mezzi che possano portare via da lì gran parte degli sbarcati»
Napolitano è in visita a New York e parla dall'isola di Ellis Island, luogo simbolo della nostra emigrazione. Un secolo dopo le parti si sono invertite e stavolta l'Italia è stata lasciata sola «davanti al problema dell'afflusso di immigrati sulle nostre coste italiane dal Nord Africa». C'è bisogno quindi «di politiche univoche sia sull'immigrazione che sull'asilo politico». Certo, pure noi intanto possiamo fare di più. «Le notizie che arrivano da Lampedusa parlano di una situazione inaccettabile. Di fronte a immagini che abbiamo visto tutti, non può l'Italia, non possono le singole Regioni, dare uno spettacolo di incertezza e divisione. Lancio un appello allo spirito di solidarietà e coesione che si deve mantenere. Non è possibile che in una regione si accettino sacrifici e in un'altra no».
Quanto a Gheddafi, ormai se ne deve andare perchè «non ha più la legittimazione internazionale». Il capo dello Stato auspica che il Colonnello e il suo governo lo capiscano in fretta. «La speranza è che ci siano nuove forze in Libia per assicurare un nuovo governo, più aperto e più disponibile a soddisfare le aspirazioni di liberà e giustizia della gente libica». E Roma può avere un ruolo per dopo, può giocarsi le sue carte.
L'Italia, com'è noto, «ha importanti relazioni con la Libia nel campo dell'energia» ma «non sono decisive per la nostra economia perchè altrettanto importanti relazioni le abbiamo con altri Paesi della stessa area». Per esempio, possiamo contare su forniture di gas dall'Algeria e molto sul gas della Russia. Per questo, spiega Napolitano, «non abbiamo problemi sulla politica energetica e possiamo gestire la crisi libica. E questo, conclude «è il motivo per il quale diamo il nostro contributo alle operazioni delle Nazioni Unite in modo da avere una nuova, più stabile e più sostenibile situazione in Libia e in modo da continuare, come nel passato, ad avere utili relazioni con Tripoli in diversi settori economici».
martedì 29 marzo 2011
TERREMOTO E TSUNAMI,COLPITO IL GIAPPONE
La scossa di 9 gradi a 130 km nel Pacifico. Crolla diga. Possibile emissione radioattiva controllata da centrale atomica: evacuati abitanti in area di 10 kmUn terremoto di 8,9 gradi (poi alzato a 9) ha colpito venerdì alle 14,46 (erano le 6,46 in Italia) la parte nord-orientale dell'isola Honshu, la più grande del Giappone, a 380 km da Tokyo. Pochi minuti dopo uno tsunami con onde alte più di dieci metri si è abbattuto sulle coste affacciate sul Pacifico seminando morte e distruzione nell'area di Sendai, la più vicina all'epicentro.
ALTRE ZONE SISMICHE - Ma alle 19,59 ora italiana (le 3,59 di sabato ora locale) è stato registrato un sisma di 6,2 gradi Richter in una zona completamente diversa: presso Joetsu sulla costa ovest, superficiale (1o km di profondità). Il sisma ha provfocato frane e valanghe a Tokamachi, zona montagnosa a 50 km da Nagano e Morioka dove nel 1998 vennero disputate le Olimpiadi invernali. Alle 20,47 sisma di 6,6 gradi in una terza zona: nel mar del Giappone a nord-ovest di Honshu sempre a 10 km di profondità. Alle 20,25 c'era stata una scossa di 5,5 gradi a soli 80 km da Tokyo, a conferma dello spostamento degli epicentri delle scosse di assestamento verso sud-ovest, più vicino alla capitale.
DATI - Il terremoto di 9 gradi è il più violento in Giappone da quando esistono le rilevazioni sismiche e il quarto più forte al mondo dell'ultimo secolo. Il bilancio ufficiale delle vittime parla finora di 378 morti e 584 dispersi, oltre a 950 feriti, ma purtroppo sembra destinato ad alzarsi di molto. Grazie alle costruzioni antisismiche obbligatorie in tutto il Giappone, i crolli non sono stati numerosi, la gran parte delle vittime e dei danni è stata causata dallo tsunami. Solo su una spiaggia di Sendai sono stati trovati 300 corpi. Una nave con un centinaio di persone a bordo è stata travolta, mentre quattro treni sono dati per dispersi: uno si trovava vicino alla stazione di Nobiru dove si è abbattuta un'onda di dieci metri, il secondo è scomparso nella prefettura di Iwate. Anche gli altri due di cui si sono perse le tracce stavano viaggiando lungo la costa orientale.Lo tsunami sulla costa del Giappone:
CROLLA DIGA - La diga di Fujinuma nella prefettura di Fukushima si è rotta riversando l'acqua a valle che ha spazzato via l'intera città di Sukagawa. Lo riferisce l'agenzia Kyodo, numerose persone vengono date per disperse.
NUOVE SCOSSE - Il capo di gabinetto del governo giapponese, Yukio Edano, ha chiesto alla popolazione di tenersi pronta ad affrontare altre scosse di assestamento e tsunami violenti, assicurando che la situazione nelle centrali nucleari era sotto controllo, ma in seguito è giunta la notizia di una possibile fuoriuscita radioattiva controllata dalla centrale di Fukushima 1.
LE COMUNICAZIONI - A Tokyo, a 370 km di distanza dall'epicentro, i crolli sono stati limitati, ma anche nella capitale si contano i morti. Molte persone hanno riportato lesioni in seguito ai crolli. Sempre nella capitale è stato chiuso l'aeroporto di Narita. Uno dei principali aeroporti di Tokyo, quello di Ibaraki che si trova 80 chilometri a nord-est della capitale, è stato chiuso a seguito del cedimento di un'ampia parte del tetto. Alcuni treni e metropolitane hanno ripreso a funzionare solo alle 17,30 italiane, quando a Tokyo era passata l'1 di notte. Nella raffineria di Ichihara si è sviluppato un incendio, nel porto si sono innescati almeno sei focolai. L'antenna della Tokyo Tower, il simbolo della capitale nipponica e della ricostruzione post-bellica, si è piegata a causa delle scosse. La rete di telefonia cellulare è saltata, e anche le comunicazioni telefoniche attraverso le linee fisse sono molto difficili, ha resistito però l'infrastruttura Internet, tramite la quale la gente continua a scambiarsi informazioni in tempo reale. Le fornitura di energia elettrica è saltata in un'ampia parte dell'area di Tokyo: 4,4 milioni di abitazioni sono rimaste senza luce. Un'onda ha anche inondato l'enorme parcheggio del parco divertimenti di Disneyland.
SENDAI - Le immagini e le notizie più impressionanti arrivano dalla zona di Sendai, dove vivono circa 1 milione di persone, area nella quale si è abbattuta la più forte onda di maremoto. L'acqua si è spinta fino a 5 chilometri all'interno, quando si è ritirata sono rimasti su una spiaggia da 200 a 300 corpi. La pista dell'aeroporto è stata invasa dalle acque. Case e magazzini sono in fiamme in vaste aree di Kesennuma (70 mila abitanti), vicino a Sendai. «Il porto è un mare di fiamme», ha riferito un cronista locale. Il porto di Miyagi si è riempito di carcasse di veicoli trascinati via dalla furia del mare. Una grande esplosione è avvenuta in un complesso petrolchimico a Shiogama, un sobborgo nei pressi di Sendai. Immagini diffuse dalla televisione mostrano fiamme alte decine di metri che avvolgono l'impianto. L'onda anomala
Il terremoto in Giappone
SOCCORSI - I danni sono stati subito definiti «considerevoli» dal governo nipponico, il quale per prima cosa ha assicurato che non ci sono state fughe di radiottività dalle centrali atomiche. Il primo ministro Naoto Kan ha costituito un'unità per affrontare l'emergenza. Il capo del governo nipponico ha espresso le più «profonde condoglianze a chi sta soffrendo le conseguenze» di questo «fortissimo terremoto» e ha chiesto alla popolazione di continuare a seguire le indicazioni trasmesse televisivamente con tranquillità. Il ministero della Difesa si appresta a mobilitare 300 aerei e 40 navi per i soccorsi. Il presidente americano Barack Obama ha annunciato che, oltre alla portaerei che già si trova nelle vicinanze del Giappone, ne ha inviato un'altra per aiuti. Il ministro degli Esteri giapponese, Takeaki Matsumoto, ha dato disposizioni alla struttura diplomatica di accettare aiuti internazionali. Sono 38 le nazioni del mondo che hanno immediatamente offerto aiuto e solidarietà al Giappone. Anche l'Onu ha annunciato che trenta squadre di soccorso sono pronte a partire. L'ambasciatore italiano a Tokyo, Vincenzo Petrone, ha reso noto che «non ci sono notizie di italiani coinvolti a Tokyo e non ci sono stranieri interessati dallo tsunami a Sendai». Tokyo, ha assicurato il diplomatico, «è tranquilla». Stanno tutti bene i 311 componenti dell'orchestra e dello staff del Maggio Musicale Fiorentino che si trovano dagli inizi di marzo a Tokyo per una lunga tournée. Alitalia ha riprogrammato a sabato i voli Roma-Tokyo e Milano-Tokyo.
LE SCOSSE - La prima scossa di 9 gradi della scala Richter è avvenuta alle 14,46 locali (le 6,46 in Italia) con epicentro a una profondità di 32 km situato a 130 km a est di Sendai e a 180 km dalle centrali atomiche di Fukushima, ed è stata seguita da decine di scosse di assestamento, quattro delle quali di oltre 6,5 gradi e dodici tra 6 e 6,5 gradi. Dal momento della scossa principale, c'è stato un terremoto di almeno 5 gradi in media ogni 5-7 minuti. La costa nordorientale del Giappone sul Pacifico in passato è stata colpita da terremoti e tsunami e un sisma di magnitudo 7,2 si era verificato mercoledì, seguito da una serie di scosse nella stessa area dove si è verificato il sisma devastante dell'11 marzo. Si pensava che queste scosse avessero scaricato l'enorme energia che si era accumulata nella subduzione della zolla pacifica sotto l'arco-isola del Giappone, invece evidentemente ha attivato una parte della faglia che si è rotta provocando il terremoto di 8,9 gradi. Nel 1933, un sisma di magnitudo 8,1 nella zona provocò la morte di oltre 3 mila persone. La scossa dell'11 marzo è stata la più potente mai registrata nel Sol Levante. Le onde sismiche sono state avvertite distintamente fino a Pechino.
lunedì 28 marzo 2011
CONDEMNATION di DEPECHE MODE
Condemnation
Tried
Here on the stand
With the book in my hand
And truth on my side
Accusations
Lies
Hand me my sentence
I'll show no repentance
I'll suffer with pride
If for honesty
You want apologies
I don't sympathize
If for kindness
You substitute blindness
Please open your eyes
Condemnation
Why
Because my duty
Was always to beauty
And that was my crime
Feel elation
High
To know I can trust this
Fix of injustice
Time after time
If you see purity
As immaturity
Well it's no surprise
If for kindness
You substitute blindness
Please open your eyes
TRADUZIONE:
Tried
Here on the stand
With the book in my hand
And truth on my side
Accusations
Lies
Hand me my sentence
I'll show no repentance
I'll suffer with pride
If for honesty
You want apologies
I don't sympathize
If for kindness
You substitute blindness
Please open your eyes
Condemnation
Why
Because my duty
Was always to beauty
And that was my crime
Feel elation
High
To know I can trust this
Fix of injustice
Time after time
If you see purity
As immaturity
Well it's no surprise
If for kindness
You substitute blindness
Please open your eyes
TRADUZIONE:
Condanna Ho provato Qua al banco Con il libro nella mia mano E la verità al mio fianco Accuse Menzogne Mi consegnano il mio verdetto Non mostrerò [segni di] pentimento Soffrirò con orgoglio Se per onestà Vuoi delle scuse Io non provo comprensione Se alla gentilezza Sostituisci la cecità Per favore, apri i tuoi occhi Condanna Perché? Perché il mio dovere Era sempre verso la bellezza E quello è stato il mio crimine Mi sento euforico In alto A sapere che posso credere in questa Riparazione dell'ingiustizia Una volta dopo l'altra Se scambi la purezza Per immaturità Be', non è una sorpresa Se alla gentilezza Sostituisci la cecità Per favore, apri i tuoi occhi |
NON SIETE STATO VOI di CAPAREZZA
Non siete Stato voi che parlate di libertà
come si parla di una notte brava dentro
i lupanari.
Non siete Stato voi che
trascinate la nazione dentro il buio
ma vi divertite a fare i luminari.
Non
siete Stato voi che siete uomini di
polso forse perché circondati da una
manica di idioti.
Non siete Stato voi
che sventolate il tricolore come in
curva e tanto basta per sentirvi patrioti.
Non
siete Stato voi né il vostro parlamento
di idolatri pronti a tutto per ricevere
un’udienza.
Non siete Stato voi che
comprate voti con la propaganda ma
non ne pagate mai la conseguenza.
Non
siete Stato voi che stringete tra le
dita il rosario dei sondaggi sperando
che vi rinfranchi.
Non siete Stato
voi che risolvete il dramma dei disoccupati
andando nei salotti a fare i saltimbanchi.
Non
siete Stato voi. Non siete Stato, voi.
come si parla di una notte brava dentro
i lupanari.
Non siete Stato voi che
trascinate la nazione dentro il buio
ma vi divertite a fare i luminari.
Non
siete Stato voi che siete uomini di
polso forse perché circondati da una
manica di idioti.
Non siete Stato voi
che sventolate il tricolore come in
curva e tanto basta per sentirvi patrioti.
Non
siete Stato voi né il vostro parlamento
di idolatri pronti a tutto per ricevere
un’udienza.
Non siete Stato voi che
comprate voti con la propaganda ma
non ne pagate mai la conseguenza.
Non
siete Stato voi che stringete tra le
dita il rosario dei sondaggi sperando
che vi rinfranchi.
Non siete Stato
voi che risolvete il dramma dei disoccupati
andando nei salotti a fare i saltimbanchi.
Non
siete Stato voi. Non siete Stato, voi.
Non
siete Stato voi, uomini boia con la
divisa che ammazzate di percosse i
detenuti.
Non siete Stato voi con gli
anfibi sulle facce disarmate prese
a calci come sacchi di rifiuti.
Non
siete Stato voi che mandate i vostri
figli al fronte come una carogna da
una iena che la spolpa.
Non siete Stato
voi che rimboccate le bandiere sulle
bare per addormentare ogni senso di
colpa.
Non siete Stato voi maledetti
forcaioli impreparati, sempre in cerca
di un nemico per la lotta.
Non siete
Stato voi che brucereste come streghe
gli immigrati salvo venerare quello
nella grotta.
Non siete Stato voi col
busto del duce sugli scrittoi e la
costituzione sotto i piedi.
Non siete
Stato voi che meritereste d’essere
estripati come la malerba dalle vostre
sedi.
Non siete Stato voi. Non siete
Stato, voi.
siete Stato voi, uomini boia con la
divisa che ammazzate di percosse i
detenuti.
Non siete Stato voi con gli
anfibi sulle facce disarmate prese
a calci come sacchi di rifiuti.
Non
siete Stato voi che mandate i vostri
figli al fronte come una carogna da
una iena che la spolpa.
Non siete Stato
voi che rimboccate le bandiere sulle
bare per addormentare ogni senso di
colpa.
Non siete Stato voi maledetti
forcaioli impreparati, sempre in cerca
di un nemico per la lotta.
Non siete
Stato voi che brucereste come streghe
gli immigrati salvo venerare quello
nella grotta.
Non siete Stato voi col
busto del duce sugli scrittoi e la
costituzione sotto i piedi.
Non siete
Stato voi che meritereste d’essere
estripati come la malerba dalle vostre
sedi.
Non siete Stato voi. Non siete
Stato, voi.
Non siete Stato voi che
brindate con il sangue di chi tenta
di far luce sulle vostre vite oscure.
Non
siete Stato voi che vorreste dare voce
a quotidiani di partito muti come sepolture.
Non
siete Stato voi che fate leggi su misura
come un paio di mutande a seconda dei
genitali.
Non siete Stato voi che trattate
chi vi critica come un randagio a cui
tagliare le corde vocali.
Non siete
Stato voi, servi, che avete noleggiato
costumi da sovrani con soldi immeritati,
siete
voi confratelli di una loggia che poggia
sul valore dei privilegiati
come voi
che i mafiosi li chiamate eroi e che
il corrotto lo chiamate pio
e ciascuno
di voi, implicato in ogni sorta di
reato fissa il magistrato e poi giura
su Dio:
“Non sono stato io”.
brindate con il sangue di chi tenta
di far luce sulle vostre vite oscure.
Non
siete Stato voi che vorreste dare voce
a quotidiani di partito muti come sepolture.
Non
siete Stato voi che fate leggi su misura
come un paio di mutande a seconda dei
genitali.
Non siete Stato voi che trattate
chi vi critica come un randagio a cui
tagliare le corde vocali.
Non siete
Stato voi, servi, che avete noleggiato
costumi da sovrani con soldi immeritati,
siete
voi confratelli di una loggia che poggia
sul valore dei privilegiati
come voi
che i mafiosi li chiamate eroi e che
il corrotto lo chiamate pio
e ciascuno
di voi, implicato in ogni sorta di
reato fissa il magistrato e poi giura
su Dio:
“Non sono stato io”.
domenica 27 marzo 2011
aforismi sulla giustizia
E' strano come tutti difendiamo i nostri torti con più vigore dei nostri diritti.
Kahlil Gibran
Kahlil Gibran
Una donna che si crede intelligente reclama gli stessi diritti dell'uomo. Una donna intelligente ci rinuncia.
Sidonie-Gabrielle Colette
Sidonie-Gabrielle Colette
Confessiamo una buona volta a noi stessi che da quando l’umanità ha introdotto i diritti dell’uomo, si fa una vita da cani. Karl Kraus
Ciò che è detto se ne vola via, ciò che è scritto rimane.
Terenzio
Terenzio
“Corruzione” è lo slogan della vita americana oggi. E’ la legge, quando non si rispetta altra legge. Sta minando il paese. In tutte le città, i legislatori onesti si contano sulle dita delle mani. Quelli di Chicago, poi sulle dita di una mano sola! La virtù, l’onore, la verità e la legge sono scomparsi. Siamo tutti imbroglioni. Ci piace “farla franca”. E se non riusciamo a guadagnare il pane in modo onesto, lo facciamo in un altro modo.
Al Capone
Al Capone
E' molto facile, in nome della libertà esteriore, soffocare la libertà interiore dell'uomo.
Tagore
Tagore
La legge è uguale per tutti. Basta essere raccomandati.
Marcello Marchesi
Marcello Marchesi
Bisogna pagare qualunque prezzo per il diritto di mantenere alta la nostra bandiera.
Ernesto Che Guevara
Ernesto Che Guevara
Ai tempi di Flaubert c'erano troppi avvocati alla Camera, ora ve ne sono troppi anche al Senato e per di più sono anche troppo incapaci, ammesso che l'egoismo non sia considerato una
capacità.
Carl William Brown
capacità.
Carl William Brown
Crede che quei banchieri siano in prigione? Nossignore. Sono fra i cittadini più stimati della Florida. Sono feccia, almeno quanto i politici disonesti! Creda, io ne so qualcosa. E’ da tempo che mangiano e si vestono con i miei soldi. Finché non sono entrato nel racket non sapevo quanti imbroglioni indossano abiti costosi e parlano con accento da signori.
Al Capone
Al Capone
Il miglior modo per far abrogare una pessima legge consiste nel farla applicare rigorosamente.
Abraham Lincoln
L'ordine è la prima legge del cielo.
Alexander Pope
Non vi è animale più cattivo dell'uomo senza legge.
Girolamo Savonarola
Gli avvocati sono le uniche persone la cui ignoranza della legge non viene punita.
Jeremy Bentham
Abraham Lincoln
L'ordine è la prima legge del cielo.
Alexander Pope
Non vi è animale più cattivo dell'uomo senza legge.
Girolamo Savonarola
Gli avvocati sono le uniche persone la cui ignoranza della legge non viene punita.
Jeremy Bentham
La legge è fatta esclusivamente per lo sfruttamento di coloro che non la capiscono, o ai quali la brutale necessità non permette di rispettarla.
Bertolt Brecht
Bertolt Brecht
Bisogna essere onesti per vivere fuori dalla legge.
Bob Dylan
Ragione per governare ma clemenza per perdonare: La prima è legge, privilegio l'altra.
John Dryden
L'autodifesa è la più antica legge della Natura.
John Dryden
Non c'è alcuna legge nella storia, non più che in un caledoscopio.
John Ruskin
L'ignoranza della legge non è una scusa per nessun uomo: non perché tutti gli uomini conoscono la legge, ma perché questa è una scusa che tutti adducono, e nessuno sa come respingerla.
John Selden
Se, secondo la legge islamica, dalle nostre parti si tagliasse la mano ai ladri, avremmo soltanto dei compositori con una mano sola.
Leonard Bernstein
Nessuna legge si adatta ugualmente bene a tutti.
Livio
Bob Dylan
Ragione per governare ma clemenza per perdonare: La prima è legge, privilegio l'altra.
John Dryden
L'autodifesa è la più antica legge della Natura.
John Dryden
Non c'è alcuna legge nella storia, non più che in un caledoscopio.
John Ruskin
L'ignoranza della legge non è una scusa per nessun uomo: non perché tutti gli uomini conoscono la legge, ma perché questa è una scusa che tutti adducono, e nessuno sa come respingerla.
John Selden
Se, secondo la legge islamica, dalle nostre parti si tagliasse la mano ai ladri, avremmo soltanto dei compositori con una mano sola.
Leonard Bernstein
Nessuna legge si adatta ugualmente bene a tutti.
Livio
Meno le persone sanno di come vengono fatte le salsicce e le leggi e meglio dormono la notte.
Otto von Bismarck
L'è mèi en ràt èn boca a n'gàt che n'òm èn boca a n'àocat. Proverbio milanese universalmente valido.
Carl William Brown
Otto von Bismarck
L'è mèi en ràt èn boca a n'gàt che n'òm èn boca a n'àocat. Proverbio milanese universalmente valido.
Carl William Brown
Dov'è proibito ridere, non si ha il diritto di piangere.
Stanislaw Jerzy Lec
Stanislaw Jerzy Lec
Dobbiamo imparare bene le regole, in modo da infrangerle nel modo giusto.
Dalai Lama
Dalai Lama
Possiamo essere liberi solo se tutti lo sono.
Georg Hegel
Georg Hegel
Per i nemici le leggi si applicano, per gli amici si interpretano.
Giovanni Giolitti
Giovanni Giolitti
La legge è uguale per tutti. Ma per alcuni è più uguale che per altri, e qui mi riferisco in particolar modo ai poveri raccomandati e a quelli stupidi che li promuovono.
Carl William Brown
Carl William Brown
La base del nostro sistema politico è il diritto della gente di fare e di cambiare la costituzione del loro governo.
George Washington
George Washington
Fra le armi tacciono le leggi.
Cicerone
Cicerone
E’ meglio dare regole da infrangere che nessuna regola.
Anonimo
Anonimo
Diritto e rovescio.
Carl William Brown
Carl William Brown
Ma se un tiranno (o un manipolo di deficienti, anche democraticamente eletti) usurpa il potere e prescrive al popolo quel che deve fare, è anche questa una legge?
Alcibiade Giustizia non esiste là dove non vi è libertà.
Luigi Einaudi
Alcibiade Giustizia non esiste là dove non vi è libertà.
Luigi Einaudi
La libertà quando comincia a mettere radici è una pianta di rapida crescita.
George Washington
George Washington
Prima legge dei robot: mai danneggiare un essere umano.
Isaac Asimov
Isaac Asimov
La legge non è sempre comoda per tutti, ma sicuramente è sempre scomoda per chi non ha soldi.
Carl William Brown
Carl William Brown
Il bandito Giuliano Mesina un giorno disse che sarebbe diventato completamente onesto quando la società sarebbe diventata realmente giusta.
Carl William Brown
Carl William Brown
Cento delinquenti fanno meno male di un giudice cattivo.
Francisco de Quevedo
Francisco de Quevedo
Una volta i potenti per sottomettere il popolo usavano la forza, le leggi e la religione, ora dispongono anche del calcio e della televisione.
Carl William Brown
Carl William Brown
Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno giustiziati.
Un giudice senza umanità è un giudice senza giustizia.
Libero Bovio, Don Liberato si spassa, 1937
Giustizia non esiste là ove non vi è libertà.
Luigi Einaudi, Giustizia e libertà, 1948
Nella maggior parte degli uomini, l'amore della giustizia non è altro che timore di patire l'ingiustizia.
François de La Rochefoucauld , Massime, 1678
Quel che v'ha di più orrendo al mondo è la giustizia separata dalla carità.
François Mauriac
L'ingiustizia è relativamente facile da sopportare; quella che proprio brucia è la giustizia.
Henry Louis Mencken, Pregiudizi, Terza serie, 1922
Come la moda decide dei gusti, così decide della giustizia.
Blaise Pascal, Pensieri, 1670 (postumo)
La giustizia senza forza è impotente; la forza senza la giustizia è tirannica.
Blaise Pascal, Pensieri, 1670 (postumo)
Se noi riconosciamo che errare è dell'uomo, non è crudeltà sovrumana la giustizia?
Luigi Pirandello
Si dice: non c'è giustizia sulla terra. Ma esiste forse in cielo?
Aleksandr Puskin
Non è necessario essere avvocato o magistrato per sapere che la legalità e la giustizia sono lontani dall'essere sinonimi.
Adolphe-Basile Routhier, Il centurione, 1909
È la giustizia, non la carità, che manca nel mondo.
Mary Wollstonecraft, Rivendicazione dei diritti della donna, 1792
E lo sposo [Renzo Tramaglino] se ne andò, col cuore in tempesta, ripetendo sempre quelle strane parole: «a questo mondo c’è giustizia, finalmente!» Tant’è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica. (Alessandro Manzoni)
«Figliuol mio,» disse ‘l maestro cortese, | «quelli che muoion nell’ira di Dio | tutti convegno qui d’ogni paese; e pronti sono a trapassar lo rio | chè la divina giustizia li sprona, sì che la tema si volve in disìo. (Dante Alighieri)
Il sentimento di giustizia è così universalmente connaturato all’umanità da sembrare indipendente da ogni legge, partito o religione. (Voltaire)
In generale la giustizia è uguale per tutti, perché è utile nei rapporti sociali; ma in casi particolari, e a seconda dei luoghi e delle condizioni, risulta che la stessa cosa non è giusta per tutti. (Epicuro)
La giustizia deve essere congiunta al potere, così che ciò che è giusto possa anche aver potere, e che ciò che ha potere possa essere giusto. (Blaise Pascal)
La giustizia è sempre giustizia, anche se è fatta sempre in ritardo e, alla fine, è fatta solo per sbaglio. (George Bernard Shaw)
Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. (Gesù)
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. (Gesù)
Ciò che è, già è stato; ciò che sarà, già è; Dio ricerca ciò che è già passato. Ma ho anche notato che sotto il sole al posto del diritto c’è l’iniquità e al posto della giustizia c’è l’empietà. (Ecclesiaste)
Corona magnifica è la canizie, ed essa si trova sulla via della giustizia. (Salomone)
Fuggi le passioni giovanili; cerca la giustizia, la fede, la carità, la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro. (S. Paolo)
In ogni cosa tieni l’occhio fisso al termine finale; tieni l’occhio, cioè, a come comparirai dinanzi al giudice supremo; al giudice che vede tutto, non si lascia placare con doni, non accetta scuse; e giudica secondo giustizia. (T. da Kempis)
L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda, che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni. (Giovanni Paolo II)
L’ingiustizia in qualsiasi luogo è una minaccia alla giustizia ovunque. (Martin Luther King)
L’iniquo accetta regali di sotto il mantello per deviare il corso della giustizia. (Salomone)
L’uomo potrà sfuggire alla giustizia umana ma non a quella divina (S. Pio da Pietralcina)
La giustizia è il fermo e assiduo desiderio di rendere a ciascuno il dovuto. (Giustiniano)
La giustizia è la gloria suprema delle virtù. (Marco Tullio Cicerone)
La libertà non fondata sulla giustizia è una parola vuota, buona per nascondere illusioni. Proprio i più grandi tiranni del genere umano hanno glorificato a voce più alta la libertà. (S. Staszic)
La punizione è giustizia per l’ingiusto.(Sant’Agostino)
La situazione dell’uomo nel mondo contemporaneo sembra lontana dalle esigenze oggettive dell’ordine morale, come dalle esigenze della giustizia e, ancora più, dell’amore sociale. (Giovanni Paolo II)
La voce della maggioranza non è garanzia di giustizia.(Johann Christoph Friedrich von Schiller)
Le stesse leggi della giustizia non possono sussistere senza una certa mescolanza d’ingiustizia. (Michel de Montagne)
Non affannatevi dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. (Gesù)
Non bisogna guardare quale sia il premio di una giusta azione: il premio maggiore consiste nella giustizia. (Seneca)
Non esagerare con nessuno; non fare nulla senza giustizia. (Siracide)
Non v’accorgete voi che noi siam vermi/ nati a formar l’angelica farfalla/ che vola alla giustizia senza schermi? (Dante)
Poco con onestà è meglio di molte rendite senza giustizia. (Salomone)
Quando regna la giustizia, la fede si trova nei trattati, la sicurezza negli affari, l’ordine nella politica; la terra è nella sicurezza e il cielo medesimo, per cos’ dire, ci risplende più gradevolmente. (B. Bossuet)
Quanti temono il Signore troveranno la giustizia, le loro virtù brilleranno come luci. (Siracide)
Se il giornalismo vuol essere una potenza accettata da tutti, conviene che rappresenti l’opinione pubblica, quando è giusta e ragionevole; e sappia anche ricondurla sul buon cammino quando si svia; conviene si faccia, prima di tutto, sostenitore e vindice di quei principi elementari di giustizia e di onestà, che sono anteriori a tutti i codici e sono i soli e veri cardini della società umana. (M. D’Azeglio)
Tutto ho visto nei giorni della mia vanità: perire il giusto nonostante la sua giustizia, vivere a lungo l’empio nonostante la sua iniquità. (Ecclesiaste)
Un eunuco che vuol deflorare una ragazza, così chi vuol rendere giustizia con la violenza. (Siracide)
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